Il quartiere di Testaccio si estende su un’area di circa 600.000 mq ed è delimitato a nord-ovest dall’ansa del Tevere, ad est dal colle dell’Aventino e a sud dalle Mura Aureliane.
La fase romana
Il nome Testaccio deriva dal cosiddetto Monte (mons Testaceus), alto circa 54 metri s.l.m. (30 al di sopra della zona circostante), con una circonferenza di 1 chilometro e una superficie di circa 20.000 mq, formato dagli scarti dei vasi di coccio (textae) e detriti vari, accumulatisi nei secoli come residuo dei trasporti che facevano capo all’antico porto di Roma (Emporium). Il porto, originariamente collocato nell’ansa a est dell’Isola Tiberina, venne trasferito in quest’area nel sec. II a.C. e comprendeva l’Emporium, grande banchina sul fiume, e numerosi magazzini (Porticus Aemilia, Horrea Galbana, Lolliana, Seiana ecc.). Come detto, il Monte Testaccio o dei Cocci, era una grande discarica di frammenti di anfore olearie la cui disposizione seguiva regole precise. La datazione di questi frammenti risale ad un arco temporale che va dal 140 a.C. e al 251 d.C., quando lo sviluppo degli horrea nel porto di Ostia esaurisce il ruolo annonario della scalo tiberino e le attrezzature diventano deposito di marmi (da cui il nome Marmorata di uno degli assi stradali della zona). Tra le altre emergenze archeologiche che distinguono la zona si ricordano la piramide di Caio Cestio Epulone (realizzata tra il il 18 e il 12 a. C.), in prossimità della quale è visibile un tratto dell’antica via Ostiensis e le Mura Aureliane (III secolo d.C.), con l’antica porta Ostiensis (ora san Paolo).
La fase medievale e moderna
Come si rileva anche dalla cartografia storica, il progressivo fenomeno di ruralizzazione avviato tra il V e il VII sec d.C. porterà la zona ad essere caratterizzata da una destinazione prevalentemente agricola (vigne ed orti). In particolare dalla pianta di Roma di Gian Battista Nolli, del 1748, è riconoscibile oltre la divisione delle diverse tenute, la presenza, in prossimità del Tevere degli antichi resti della Porticus Aemilia e, a ridosso della piramide di Caio Cestio, l’indicazione del Cimitero acattolico, eletto dal XVII sec luogo di sepoltura degli stranieri non cattolici residenti a Roma. Fino al XVIII sec l’area a ridosso del Monte Testaccio, nota come Prati del popolo romano, viene destinata a pubblico godimento e riservata a manifestazioni religiose e ludiche, raffigurate in diversi documenti iconografici. Tra la fine del XVII e il XVIII sec lungo il perimetro del Monte, saranno realizzate le grotte destinate a cantine e a magazzini per la conservazione del vino, trasformate poi in osterie e locali vari. La zona, inoltre, grazie alla vicinanza con il porto di Ripa grande, fino al XIX sec, ospiterà anche numerose attività commerciali.
Il quartiere industriale di Roma Capitale
Con il piano regolatore del 1873 la piana di Testaccio viene destinata alla realizzazione di un quartiere ad arti clamorose, fabbricati per abitazioni di operai e grandi officine. Così, con la costruzione del nuovo Mattatoio progettato da Gioacchino Ersoch (1888-1891), che sostituisce quello presso Porta del Popolo, l’area diventa un quartiere di residenze per operai. La lottizzazione residenziale viene promossa prima dai privati, che alla fine dell’Ottocento realizzano un nucleo di abitazioni intorno a piazza Mastro Giorgio (oggi piazza Testaccio) e poi dall’Istituto per le Case Popolari di Roma che, dal 1908 al 1930, interviene sistematicamente nella definizione dell’assetto edilizio della quartiere. Oltre agli interventi residenziali, dagli inizi del Novecento, verranno realizzati una serie di edifici istituzionali e di servizio, come la chiesa di santa Maria Liberatrice, le scuole, la caserma dei Vigili del Fuoco, l’edificio della Poste a via Marmorata, lo stadio di calcio Campo Testaccio e una serie di sistemazioni degli spazi pubblici e stradali (tra questi, la realizzazione del ponte Sublicio e di ponte Testaccio, già ponte d’Africa). A seguito dell’istituzione di otto nuovi rioni, il 9 dicembre 1921, il quartiere viene costituito come rione XX.
Dal dopoguerra alla dismissione dell’ex Mattatoio
Nel dopoguerra, lungo via Zabaglia, tra le mura Aureliane e il Monte Testaccio, viene realizzato il Cimitero di guerra degli inglesi (Commonwealth War Graves), mentre, in corrispondenza dei Prati del popolo romano, si assiste alla progressiva occupazione di una serie di manufatti adibiti ad officine, depositi e residenze. A seguito della dismissione del Mattatoio, nel 1975, l’amministrazione capitolina, attraverso un Piano Quadro per Testaccio, promuove una serie di progetti urbani ed edilizi che, dagli anni ’80 ad oggi, hanno portato alla riqualificazione del quartiere. Tra questi si ricordano: gli interventi residenziali dell’Istituto Case Popolari, il recupero dell’ex Borsa al Campo Boario, gli allestimenti per l’Estate Romana, la realizzazione dell’Asilo e della Biblioteca comunale Enzo Tortora, la sistemazione della piazza di santa Maria Liberatrice e di piazza Testaccio, l’apertura del nuovo Mercato rionale, con gli spazi di Porta Futuro della Provincia di Roma. Inoltre, a cura della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma sono state restaurate le strutture dell’Emporium, della Porticus Aemilia, i reperti degli horrea, ritrovati nell’area del nuovo Mercato e la piramide di Caio Cestio.
Dalla dismissione dell’ex Mattatoio alla Città delle Arti
Con la dismissione dell’ex Mattatoio la zona ha subito una progressiva trasformazione diventato per la città di Roma un importante polo culturale oltre che residenziale. Nel 1982, l’Assessorato per gli Interventi su Centro Storico, guidato da Carlo Aymonino, istituisce un laboratorio di progettazione delle aree strategiche dell’Esquilino e di Testaccio. L’area di Testaccio viene affidata ad un gruppo di tecnici coordinati da Luigi Caruso affiancato da Carla Salanitro e Guido Ingrao. Nell’ambito dei progetti elaborati per Testaccio sono stati previsti una serie di interventi di recupero dell’ex Mattatoio e del Campo Boario che hanno portato nel corso degli anni a programmare da parte dell’amministrazione capitolina il riuso dei vecchi padiglioni per realizzare la Città delle Arti, con spazi polivalenti dedicati alla cultura e alla formazione tecnica e artistica. Attualmente questi spazi comprendono il Macro, il Dipartimento di Architettura, l’Accademia di Belle Arti, la Scuola popolare di musica di Testaccio. Ad essi si aggiungono, insieme con altri insediamenti, le aree e i padiglioni della Città dell’Altra Economia e della Pelanda. È in atto, a cura di Roma Capitale, il programma di riqualificazione della piazza Giustiniani e del piazzale interno del complesso.