Il dipinto conservato al Museo di Palazzo Venezia, documenta i giochi che si svolgevano presso il Monte Testaccio. Fin dal XIII sec., la zona era destinata a spettacoli caratterizzati dalla presenza di animali, come ricorda Adamo da Usk (1377-1405): Appresso a ciò, la stessa domenica (di quaresima), a spese de’ Giudei, sulla sommità del monte chiamato di tutta la terra, perché si compone della terra di tutto il mondo, ivi recata in segno all’universale dominio, si aggiungono otto tori indomiti a quattro carri ricoperti di scarlatto contenenti otto cinghiali vivi e giù per la discesa del monte sconquassati i carri e libere le bestie, tutto ricade in preda dei Romani (citato in D. Orano, Come vive il popolo a Roma: saggio demografico sul quartiere Testaccio, Pescara 1912). Una tradizione ricordata a distanza di secoli anche dal poeta Gioacchino Belli: Anticamente era l’ebbreo / Er barbero de quelli carnevali / A Testaccio e ar piazzon der Culiseo (10 gennaio 1833).  Per la cronaca dei “bestialia ioca” si veda inoltre S. Infessura, Diarium Urbis Romae, 1494 e gli Statuta Urbis Romae, Roma 1611, in particolare Lib. III, 87, De pecuniis erogandis in ludis Agonis et Testaciea, con le glosse del conte Leandro Galganetti.
L. Caruso (a cura di), Testaccio – progetto per la trasformazione di un quartiere, «Romacentro» pubblicazioni dell’Assessorato per gli interventi sul centro storico del Comune di Roma, 3, Fratelli Palombi editori, Roma 1986, tav a p. 48.
Biblioteca di Storia dell’arte – Luigi Grassi – coll.: Sala/AR 11 IR A 20 0031/3